Day 4: Il professor Izoard e l’amata Briancon. La corsa è finita, ma noi continuiamo a pedalare. Grazie Gino!

Non so quanti se ne siano accorti vedendoci passare impettiti per le vie del centro storico di Briancon. Otto uomini con la stanchezza in volto e la soddisfazione negli occhi. In fondo, nonostante le divise tricolori, non dovevamo sembrare molto diversi dai tanti gruppi di ciclisti che in questo periodo percorrono le strade alpine.

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Ma non importa. Finalmente siamo qui a Briancon. Sembrano passati mesi dalla nostra partenza da Cannes ed, invece, sono solo tre giorni. Mai una città era stata così desiderata, corteggiata, attesa. Briancon è diventata in poco tempo la nostra Itaca. E’ tra le sue braccia che si è concluso il nostro viaggio. Non in un punto qualsiasi, ma davanti alla targa che, alle porte della città, ricorda le gesta di Gino Bartali. Le sue vittorie ottenute nel 1938, nel 1948 e nel 1949. Nel mezzo – non dimentichiamolo mai – una guerra atroce che mise i popoli europei li uni contro gli altri. Anche italiani e francesi si combatterono, allora. 65 anni dopo una città francese celebra le gesta di un ciclista italiano, un grande uomo europeo.

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Siamo davanti a questa targa di marmo  vista ogni giorno da centinaia di turisti distratti ma che per noi, oggi, significa molto di più. Perché in quelle poche parole di commemorazione sono racchiusi 270 chilometri passati sui pedali e qualche litro di sudore. E poi ancora i tre colli sopra di duemila metri raggiunti, un camper rotto, le soste improvvisate per i rifornimenti, i colloqui con le radioline che, quando servono veramente, non funzionano mai e le risate, i brindisi, la fisarmonica, qualche lago, le donne pettinatissime di Cannes e tanti “mi piace” e commenti di incoraggiamento da chi è tanto lontano, ma così vicino (a voi Grazie!)

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Prima di tutto questo, però, prima della gioia e della gloria, ad attenderci c’era l’esame più duro: il Coll dell’Izoard. Dopo gli esami scritti di questi due giorni era arrivato per tutti noi (ammiraglie comprese) il momento di sostenere il passo più duro della nostra “speciale” maturità: l’orale. Unico giudice questo passo alpino che con i suoi 2360 metri di altezza è diventato un simbolo del Tour de France e del ciclismo. Tutti i più grandi di questo sport sono passati di qui. E qui hanno sudato e fatto fatica.

Come alla vigilia di ogni esame che si rispetti, questa mattina alla partenza c’era un pizzico di preoccupazione perché all’orale non esistono scorciatoie, bigliettini o bignani, non si può copiare. Si è soli di fronte alla commissione. Ma, arrivati a questo punto, tutti volevano arrivare in vetta con le proprie gambe o, forse, sarebbe meglio dire sulle proprie ruote. Anche chi, nella giornata di ieri, era stato costretto a chiedere aiuto all’ammiraglia.

Pensieri evaporati non appena la strada inizia a salire.

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Mentre Matteo e Paolo salivano di passo buono, seguiti, un po’ più indietro da Francesco, già a pochi chilometri dall’inizio della salita Andrea e, soprattutto, Carlo faticavano. Quest’ultimo sembrava sul punto di mollare, ma stringeva i denti. E continuava a stringerli metro dopo metro sempre più in alto, fin dove gli alberi lasciano spazio alle nude rocce e ancora più su. Quando i denti erano ormai consumati, serrava le gengive e continuava, pedalata dopo pedalata, fino a dove la salita, benevola, lascia il passo alla discesa. E’ in cima.

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Se dovessimo trovare un vincitore nella tappa di oggi, lui lo sarebbe ad honorem. Perché, in fondo, nella sua salita dell’Izoard c’è tutto il senso di questa nostra piccola grande avventura. O, forse, di tante imprese della vita. Magari quella pedalata del finale, un po’ goffa e pesante, non finirà sui grandi giornali, ma di certo rimarrà nella nostra memoria per molto tempo.

E’ così che, dopo poco più di un’ora di colloquio, il professore Izoard – dal volto austero ma bellissimo -decide di concederci un po’ di riposo, giusto il tempo per l’immancabile foto sotto la targa “ Coll de l’Izoard 2360”, prima di lasciarci correre verso le braccia di Briancon, verso la nostra piccola Itaca. Non prima, però, di aver messo alcuni fogli di giornale sotto la mantellina (come insegnano gli antichi).

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Al nostro arrivo in città guardiamo il cronometro: in questi tre giorni i nostri ciclisti hanno trascorso in sella quindici ore e sette minuti (potete immaginare le conseguenze per le loro natiche). Bartali il 15 luglio del 1948, esattamente 65 anni fa, ne impiegò dieci. Cinque ore in meno. E’ vero erano altri temi, non c’era ancora l’euro e i coltelli “miracle blade”, nel ciclismo c’erano altri campioni, ma in fondo i colori della fatica sono uguali, oggi come allora. La salita è salita, non importa se ti chiami Bartali o Pippo Baudo, se sei leone o gazzella, se pedali su una bici da cinquemila euro o su di un cancello con due ruote. E per noi quella di oggi è una vittoria bella tanto quanto quella di allora. Una vittoria che non avremmo mai potuto ottenere senza quella storica impresa impressa su questa targa di marmo.

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Mentre la fissiamo per un’ultima volta una famiglia ci passa accanto. Il padre, viste le nostre magliette, ci guarda e chiede: “Ma l’avete fatta davvero da Cannes?”. “Sì” rispondiamo con un sorriso, “ma in tre giorni aggiunge qualcuno”. “Ah”, sospira l’uomo già distante, come se fosse la cosa più normale del mondo. E un po’, forse, ha ragione. Cosa c’è di eroico o di mitico di quanto fatto in questi tre giorni? Probabilmente nulla in confronto alle fatiche della vita (e di chi era in quei giorni a lavorare), ma – ancora per qualche ora – lasciateci godere il film di questi giorni che ripassa davanti ai nostri occhi e quest’aria fresca che sentiamo ancora nella narici. E che, speriamo, possiate sentire un po’ anche voi.

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Noi ci abbiamo semplicemente provato e messo passione. Ora – grazie al cuore tachicardico del nostro camper che ci ha riportati a casa – torniamo alla nostra vita quotidiana, ma non smetteremo di pedalare perché – nella vita come sulle alpi -ci sarà sempre una salita da scalare e degli amici con cui farlo. Questa volta non più sulla scia, ma al fianco di un nuovo compagno di viaggio, il nostro Gino Bartali!

Lo staff di Re-Tour

inizio camper

DAY 3: LA PASSIONE DELL’UOMO VINCE LE MONTAGNE… E LA NOSTRA MACCHINA

Ci sono imprese epiche di singoli uomini capaci di restare per sempre impresse nella storia. Lo sappiamo bene noi arrivati fin qui in Francia sulla scia di Gino Bartali.

Poi ci sono le storie fatte di gruppi, di squadre, anche piccole, dove ognuno da quello che ha, quando e come può. E non importa se si dovrà mettere piede a terra o perdersi qualcosa. Perché, alla fine, si vince o si perde tutti insieme. Una verità che non si cancella, anzi si rafforza, quando la salita prende a pugni le gambe, metro dopo metro, e ci si ritrova soli con la propria fatica.20130714_140146

Quella di oggi è stata una di queste giornate. Cinque piccoli grandi uomini: Andrea “Spartacus”, Paolo “Bugnino”, Carlo “Leone del Vicerè”, Matteo “il Ballerini di Maslianico Alta” e Francesco “Pelle delicata” hanno percorso insieme 120 chilometri salendo e scendendo per ben due volte dai duemila metri.

Cinque uomini che hanno dimostrato come, anche nel 2013, quando c’è la passione, un uomo è ancora capace di battere una macchina. O, forse, sarebbe meglio dire la macchina: nello specifico il nostro camper smarmittato.

Ma procediamo con ordine rendendo giustizia a questa tappa dal sapore antico. A pochi chilometri dalla partenza di St Andres Les Alpes ci concediamo una sosta nel piccolo borgo medioevale di Colmars. Qui, dato che è il 14 luglio, festa nazionale dei cugini transalpini, decidiamo di offrir loro un piccolo omaggio.

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Poi via perché non c’è tempo da perdere: il Coll dell’Allos ci aspetta. Il gruppetto inizia la salita e subito si creano le prime fratture dovute alla differenza di ritmo: pensare di stare insieme su una salita come questa sarebbe un suicidio. I cinque faticano, spingono, arrancano, ma avanzano.

Così non il nostro camper in cui la temperatura, metro dopo metro, inizia a farsi bollente (e non per le doti amatorie dei conducenti). Ci fermiamo per far passare una macchina e il nostro fido compagno di viaggio decide di regalarci una bella aerosol.

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Intanto il “bugnino” sale veloce verso la vetta. Noi facciamo quello che possiamo per cercare di rianimare il camper. Memori dei vecchi telefilm di medici proviamo con: “Bianco, razza caucasica, pressione 9 atmosfere, due litri di acqua per endovena”. Grazie ad “Er” riusciamo a farlo ripartire ma – almeno per noi dello staff – saranno i tre chilometri più lunghi della giornata. Nell’abitacolo la tensione si taglia con un grissino.

Uno alla volta veniamo superati da tutti i ciclisti che, più o meno pesantemente, raggiungono la vetta. Saremo gli ultimi ad arrivare, ma non importa.

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Qui il pranzo, l’immancabile foto e poi giù, di corsa, verso Barcellonette perché siamo solo a metà tappa. Arrivati nel fondovalle salutiamo Alessandro – nostro fotografo speciale (è lui a farci sembrare giovani e belli) – che deve rientrare a casa. Anche il gruppo è costretto a dividersi: chiedere al camper di salire anche il Coll de Vars sarebbe stato un suicidio (questa è la visione profetica di cosa avrebbe potuto essere, apparsa al nostro autista, Gianni l’Ivan Capelli della Conca d’Oro).

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Con un po’ di amarezza decidiamo di optare per un percorso alternativo e di ritrovarsi all’arrivo. A pedalare sull’ultima salita – la più dura – restano solo in quattro. Carlo non ce la fa e preferisce “vivere”. Ma non lascia gli altri soli, sale sull’ammiraglia, insieme a Vladimir il Bulgaro Volante, e inizia – da buon gregario – a distribuire borracce. Perché in vetta ci si deve arrivare tutti insieme.

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Chilometri di vera agonia con pendenze sempre più dure, tanto da costringere “Spartacus” (tra i più quotati dagli scommettitori albatesi) a mettere i piedi a terra. I tre superstiti stringono le gengive e stanchi conquistano la cima. Il Coll de Vars è italiano.

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Da qui all’arrivo, resta solo la discesa. Ad aspettarci le folli notti di Guillestre con una festa di piazza in onore della Repubblica. Sonorità degne delle peggiori balere di Gatteo a Mare: gli immancabili successi anni ’80 e un po’ di fisarmonica che non fa mai male. Li sentiamo ancora suonare quando (a parte chi scrive) ci addormentiamo. Nella mente il mitico Izoard che affronteremo domattina nell’ultima tappa di questa avventura prima della discesa a Briancon.

Lassù ad aspettarci troveremo il nostro Gino Bartali, pronto a darci l’ultima spinta!

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DAY 2: SULLA STRADA DEI GIGANTI. PEDALANDO CON NAPOLEONE E BARTALI

Ci sono luoghi in cui la Storia – con la “S” maiuscola – sembra divertirsi a giocare mescolando le storie di uomini così diversi e così lontani.  Chissà se il nostro Gino Bartali ha mai pensato, anche solo per un secondo di quel lontano 15 luglio 1948, a chi oltre cento anni prima di lui aveva percorso quella strada che dal mare, sale verso le montagne.

Era il 1° marzo 1815 e quel giorno Napoleone Bonaparte, esule da alcuni anni sull’Isola d’Elba, sbarcò alla guida di una manciata di uomini a Le-Golf Juan, a pochi passi da Cannes. Da lì inizierà la sua marcia verso Parigi che lo riporterà al potere fino alla tragica sconfitta di Waterloo.

Su quella stessa strada che oggi porta il suo nome – Routé Napoleon – abbiamo percorso oggi gran parte della nostra tappa. Siamo partiti di prima mattina, dopo le foto ufficiali scattate sul lungo mare, a pochi passi dalla croisette. Un piccolo tocco di vanità che abbiamo voluto concederci nelle nostre magliette “contenitive” modello “una volta ero magro”. Per la felicità delle donne del luogo. A stento le abbiamo trattenute.

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Una partenza, a dir la verità, non delle migliori: l’ammiraglia che si perde per il centro di Cannes (Vladimir) e, soprattutto, la prima foratura mai avvenuta nella hall di un albergo (Matteo).

Matteo Luppi

Una tappa rivelatasi ben presto più dura di quanto appariva sull’altimetria. Piena di saliscendi che non lasciavano tempo per respirare al camper perso tra passi dai nomi incomprensibili: Col du Pilon, Pas de la Faye, Col de val Ferriere, Col de Luens e potremmo continuare con Col del la Baguette e così via. Non va meglio ai nostri ciclisti d’altri tempi.

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Nel mezzo paesaggi incantevoli, soprattutto per noi delle ammiraglie. La cittadina di Grasse, famosa per i profumi, e le sue vie strette e colorate. E poi Castellane, borgo caratteristico tra le alpi.

Bellezze che non è facile apprezzare quando da ore si pedala sotto il sole, insieme a Napoleone. Una compagnia non solo metaforica, ma sembra anche reale. Pare che al terzo saliscendi della giornata ai nostri ciclisti siano comparse le prime visioni.

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Ci abbiamo messo un po’ a convincerli che non erano lì per raggiungere Parigi, ma per ricordare l’impresa di Gino Bartali.

A Castellane ha vinto Bartali e lasciata la Route Napoleon abbiamo imboccato la salita verso il Lac de Castillon sulle cui sponde sorge Saint Andres les Alpes, meta della nostra prima tappa.

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Giusto per la cronaca sono da notare i primi movimenti all’interno del gruppo. Giochi di squadra e strategie iniziano a trasparire anche se, assicurano gli esperti, tutti aspettano il tappone di domani:  oltre 120 chilometri con due gran premi della montagna di Prima categoria.

Il nostro timore è che su quelle salite alla visione di Napoleone seguano una serie infinita di visioni mistiche che potrebbero da spaziare Pippo Baudo a Nino Balducci. A giudicare dalla rianimazione post gara speriamo, almeno, nei Santi.

20130713_174731Nota per i parenti di Carlo: quella sullo sfondo non è una flebo

DAY 1: VERSO CANNES TRA FERRARI, BIONDE E UN CAMPER SMARMITTATO

Non è difficile capire quanti chilometri mancano alla Costa Azzurra: basta guardare con quanta frequenza passa una ferrari o, se proprio uno è un poveretto, una porsche. Più ci si avvicina alla frontiera più il loro numero aumenta.

E noi lì in mezzo o, forse, sarebbe meglio dire inchiodati sulla destra con il nostro camper ad arrancare, guadagnandoci a fatica ogni metro di strada. Perché in fondo ogni metro di questo viaggio sarà regalato.

Poi arriva la Ferrari nera (FOTO) con il sessantenne brizzolato al volante e la biondona d’ordinanza al fianco. Siamo fermi in coda, gli uni accanto agli altri. Ed è lì che, attirati dall’eccellenza italiana (o forse ucraina), ci accorgiamo di una luce che brilla per un attimo nell’occhio raibanato di quell’uomo: in quel momento avrebbe lasciato ferrari, rolex e fidanzata per prendere una bicicletta anni novanta, con il cambio sulla canna, ed unirsi a noi. Per iniziare l’avventura di Re-Tour sulle orme del Falco toscano.

Ferrari + Bionda

O, forse, no, ma a noi piace pensarla così.

Ed è per questo che arrivati a Cannes abbiamo deciso di rinunciare all’albergo che Francesco aveva prenotato:

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Troppo sfarzoso per noi, meglio qualcosa di più sobrio. E, allora, a fatica abbiamo trovato una sistemazione più consona:

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APPENA PRIMA DI PARTIRE

Prima di partire, dobbiamo ringraziare chi, in diversi modi, ci ha dato una mano a prepararci alla nostra avventura: la Food Pharma System, con Giovanni e Carlo. Ci hanno creduto da subito e ci hanno supportato. Le magliette sono un loro dono. Grazie, di cuore.

L’ANONIMO CREATIVO, amico e collega di Gianni. Logo, nome, manifesti e grafica sono merito suo. E si è appassionato all’idea. Applausi!

L’agenzia viaggi Ganesh di Como.

Un’azienda (che ci chiede di non essere nominata) che ha fornito pasta, condimenti e alimentari per la pedalata.

Luca Foietta. Per il camper. Anche tutti coloro che non l’hanno comprato. Altrimenti saremmo a piedi.

Il signor Pozzi dei cicli Pozzi. Ha messo in ordine alcune bici e ci ha definito (e siamo compiaciuti): “ciclisti rustici”.

Il signor Ferca dei cicli Ferca. Che ha trovato una bici per Matteo, dopo che si è stato derubato di una in prestito.

Le nostre famiglie. Vanno sempre ringraziate. Per la pazienza soprattutto.
Quelli che ci hanno detto in tutta sincerità: “Bello! Verrei, ma non posso. Sono con voi!”
Quanti ci seguono e ci seguiranno su facebook o sul blog.

Domani inizia la salita! E ora…si va a letto!

(guarda le foto della giornata)

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(FOTO: LA REDAZIONE)

Perché partiamo? Ci piacciono Bartali e il calcio totale

Foto Omega. foto mostra fausto coppi Fausto Coppi e Gino Bartali 1951Parto da lontano.

Apprezzo tantissimo Maradona, ma preferisco il calcio totale.

Applaudo Fausto Coppi, ma il mio affetto è per Gino Bartali.

Gino era un ciclista unico. Un uomo legato alla famiglia, con valori granitici. Persona di grande umanità. Capace anche di mettere a rischio la propria vita per salvarne altre. Il popolo gli voleva bene. Si diceva che in qualsiasi parte d’Italia andasse ci sarebbe stato sempre un bicchiere di vino ed un pranzo pronto per lui.

Era un generoso.

Lo dimostrò anche al Tour del ’48 e durante la Cannes-Briancon in particolare. Fu un soldato di pace, in missione su mandato di due grandi “generali”: Alcide De Gasperi e Alfredo “the Greatest”[1] Binda. Una combinazione di fatti, di momenti, di decisioni che, personalmente, mi emozionano. La consapevolezza di essere piccoli, con un tempo limitato, ma di poter dare un contributo per cose grandi. E per chi nemmeno si conosce.

“Prima o poi la vittoria di Gino Bartali va celebrata”, mi dicevo ogni volta che trovavo, su un giornale o alla tv, qualche riferimento a quel Tour, a quella tappa.

A ripensarci, sembravano quasi messaggi subliminali, dei richiami messi lì apposta. Lanciata l’idea, si è formato il gruppo. E ora ci siamo. Qualche combinazione di eventi le abbiamo anche noi.

  • Cento anni del Tour.

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  • 65 anni dalla vittoria di Bartali. Un gruppetto motivato, con persone contente di stare insieme.
  • Un’Italia che, come allora e forse più di allora, deve guardarsi allo specchio e decidere del suo oggi e del suo domani, con uno sforzo dei singoli e del collettivo (il “calcio totale”, che ammette i fuoriclasse, contrapposto al singolo fenomeno, spesso fine a se stesso. Incapace di lasciare eredità).

E noi qui, a raccogliere idealmente il testimone lasciatoci dal passato. Bartali fa il “miracolo” a distanza di 65 anni: senza di lui, noi non ci saremmo ritrovati. Alcuni di noi non si sarebbero conosciuti. E voi non sareste qui a leggere!

Ci vediamo in strada. Restate sintonizzati.

 Francesco

[1] Citazione da Gianni Mura (maestro di narrazione sportiva).

7 luglio 1948 – Miracolo a Lourdes. Le gambe di Bartali iniziano a girare. E le nostre?

Mancano pochi giorni all’inizio della nostra avventura sulle orme di Gino Bartali e guardando a quel lontano 1948 ci si accorge di come oggi ricorra un anniversario speciale.

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Il 7 luglio di 65 anni fa, infatti, il ciclista italiano tagliò per primo il traguardo di Lourdes centrando la sua seconda vittoria di tappa in quel lontano Tour de France (dopo quella nella prima frazione, la “Parigi-Trouville-sur-Mer”). Una vittoria importante perché, per la prima volta Bartali, sconfisse, seppur in volata, i due principali pretendenti alla maglia gialla: i francesci Robic e Bobet.

Un successo che voleva dire poco per la classifica generale – Bartali restava a circa 20 minuti di ritardo da Bobet – ma importante per il morale, come si legge dalle cronache dell’epoca.

“Bartali, quando si è tornati negli ultimi dieci chilometri, all’asfalto, non aveva con sé che due soli rivali: Robic e Bobet. Era da prevedere che i due compagni di squadra francesi avrebbero tentato di liberarsi di lui, attaccando di comune accordo.

Ma Bartali – che all’arrivo mi ha detto: “Cominciavo ad andare adesso. Le gambe hanno incominciato a girare come voglio io, solo dopo duecento chilometri” – stava in guardia e agli ultimi chilometri, dopo un ennesimo tentativo di lachage dei francesi, è scattato a sua volta, imperioso, concludendo la corsa con una lunghissima volata che gli dava un vantaggio di sette od otto macchine su Robic, ed in più il vantaggio del minuto di bonifica per la vittoria di tappa”.

Orio Vergani

Mancano pochi giorni all’inizio della nostra avventura. Venerdì si parte per Cannes e, date le condizioni atletiche dei nostri atleti, non possiamo che guardare anche noi verso Lourdes sperando in un miracolo.

RadioCorsa

Allenarsi in biblioteca. Quando il Tour era un film muto

Ci sono tanti modi di allenarsi e di prepararsi ad una grande corsa come la Cannes-Briancon.

Io l’ho fatto prendendomi un pomeriggio, caldo e appiccicoso, alla biblioteca comunale di Como. Nelle mani i fogli ingialliti e un poco stropicciati del Corriere della Sera di quel lontano 1948. Lettere e parole che hanno valicato le Alpi sotto i colpi delle telescriventi dell’epoca per poi essere impresse su questa carta che sfioro appena con le dita. Come fosse qualcosa di sacro.

E in un certo senso lo sono le parole di Orio Vergani (1898-1960), storico inviato del Corsera lungo le strade di quel Tour de France e di molti altri ancora. Chiederemo a lui di accompagnarci in questa nostra avventura francese, rileggendo alcuni dei suoi pezzi e ascoltando le sue parole.

Certamente, la “corsa” che racconteremo sarà molto diversa (forse sarebbe meglio chiamarla ‘scampagnata’), ma, oggi come allora, sarà solo una scusa per raccontare le gioie e le fatiche dell’uomo. Perché, come scriveva il giornalista e scrittore francese Dominique Lapierre: “Non esistono piccole o grandi storie, ma solo storie e giornalisti più o meno ispirati”. E, in questo, Vergani è stato un maestro.

RadioCorsa

Dal Corriere della Sera del 7 luglio 1948:

“TACCUINO DAL GIRO DI FRANCIA: QUAND’ERA UN FILM MUTO”

“Una sola scoperta, approdando dopo dieci anni al mio vecchio paese del Tour de France, e l’ho fatta ieri dietro ai doppi vetri della camera del mio albergho di Biarritz (…). Il Tour de France è nato al tempo del primo film muto (…), delle pellicole tremolanti che facevano male agli occhi, al tempo ottimista in cui gli uomini inventavano il maggior numero di cose possibile per divertirsi e non per uccidersi, al tempo in cui si creava in una umanità migliore e la bicicletta era stata inventata per aiutare gli uomini con poca spesa, a conoscere meglio il loro paese e i paesi vicini e a capirsi e amarsi scambievolmente”.

Corriere della Sera del 7 luglio 1948

“Era il tempo del film muto e il Tour de France era muto. Come era bello il mio 1903! (…) Oggi i corridori appartengono ancora al mondo del film muto: per sette od otto ore sul sellino senza dire mai una parola, più muti, sui pedali che gli antichi schiavi al remo. Ma il mondo del Tour si è fatto sonoro (…), la sua carovana canta, suona, parla, grida. Dove il Tour si accampa è finita la pace. La voce stessa dell’Atlantico sotto la mia finestra sembra che taccia al confronto (…). Il Tour vende, cantando, salsicce e saponette, fotografie degli atleti e lame per la barba (…). La sua voce si è fatta colossale. Tolstoi è morto e al suo posto c’è Sarte: al cristianesimo del primo si è sostituito l’esistenzialismo del secondo. Il mondo cammina e per la prima volta si è parlato di atleti all’uranio, di polpacci atomici, di colpi di pedale alla Bikini, e la gente di questo è felice. Solo io, forse, in tutta Biarritz, dietro ai doppi cristalli chiusi serro un momento gli occhi e rivedo passare, con nostalgia, il vecchio, tremolante film muto del “Tour” del bonario 1903”.

Orio Vergani

Sapessi che strano incontrarsi una mattina a Coldrerio.

Domenica mattina la sveglia è suonata presto.

Andrea ed io siamo partiti per la nostra ormai classica pedalata su chilometri ondulati. Giunti a Coldrerio, in Svizzera, incrociamo con due ciclisti.

“Saranno loro?”. E’ stata la domanda di tutti e quattro.

Agghindati di casco e occhiali, piegati sui pedali, riconoscersi non è facilissimo.

Ci chiamiamo reciprocamente. “Si, sono loro”.

Da una parte Andrea ed io, sulla strada verso casa.

Dall’altra Paolo e Carlo, diretti a Porlezza. Quattro parole. Poi di nuovo in sella.

Ormai è ufficiale: incontrarsi non è un caso.

Non siamo ancora pronti a partire…

…perché prima dobbiamo spiegare una cosa. Molto spesso, e sempre in maniera dispregiativa, si dice che lo sport serve a distrarre la società dalle cose più importanti, più serie.

Forse è vero, ma è sempre una cosa negativa?

C’è stato un momento del passato in cui un’impresa sportiva ha segnato indelebilmente la nostra storia sociale e politica. Una corsa ciclistica, nessuna televisione e qualche radio. Tanta gente nei bar e un oceano di passaparola. Un attentato, la società che stava per impazzire e l’Italia sull’orlo di un’altra guerra, questa volta civile.

Era il 1948, esattamente 65 anni fa. E una grande impresa sportiva di un grandissimo uomo che rispondeva al nome di Gino Bartali, ha cambiato la storia d’Italia, placando gli animi agitati dall’attentato a Palmiro Togliatti e scongiurando una guerra civile.

E noi vogliamo ripercorrere quei passi…Ora sì, siamo pronti a partire!